Wilhelm von Humboldt an Giovanni Fabbroni, 25.04.1804

|1*| Venerato Signore ed amico,

Le devo mille scuse del mio lungo silenzio e non saprei dire io stesso come abbia io potuto tardar tanto tempo a rispondere alle amicissime Sue lettere. La prego soltanto di restar persuaso che nulla di meno ho pensato infinite volte a Lei, che mi sono proposto ogni settimana di scriverle, ma che sempre poi mene sono visto impedito. Non è lecito ad ognuno d’imitarla Lei, Signore mio amicissimo, e di avere tempo e forze abbastanza per occuparsi quasi all’istesso tempo di oggetti intieramente diversi e di passare da riforme della Zecca a delle investigazioni erudite sopra l’istoria dei secoli i più rimoti, e di là a delle riflessioni piene di vero affetto patrio e d’entusiasmo per l’umanità, sopra i mezzi di rimediare alla mendicità. Ho seguitato le <i> suoi lavori in tutti questi rami, hò ammirato il di Lei coraggio ed il talento raro di piegarsi a materie così diverse, e di riuscire ugualmente bene in ognuna d’elle <di esse> , ma mi |2*| permetterà di confessarle che ho goduto principalmente l’opera che si avvicina di più alle mie proprie occupazioni, voglio dire la memoria sopra gli antichi abitatori dell’ Italia.

È certo che resta impossibile di stabilire un sistema forte abbastanza per rispondere a tutte le obbiezioni possibili laddove la memoria dei fatti viene dileguata dal decorso dei secoli e dove, mancando alla volta e documenti e tradizione, non resta altra guida che alcuni nomi proprj corrotti e mutati in non sò quante maniere. Mà perciò è permesso di abbandonarsi a conghietture in questa parte dell’ istoria, e ammirai la sagacità di moltissime sue etimologie e l’acutezza d’ingegno colla quale Ella fà venire gli antichi abitatori dell’ Italia dai confini dell’ Asia e della Cina per andar a popolare poi la quarta parte del mondo. Le confesso che le mie ricerche non si sono mai estese fin là, e non potrei dunque con fondamento certo decidermi per la Sua opinione o per una delle altre prodotte da altri investigatori di lingue e d’istoria. Ma trovai nella di Lei dissertazione alcuni principj che anche a me mi parvero sempre quei sopra cui dovesse edificarsi qualunque sistema in simili materie.

Non ho potuto mai persuadermi con Lanzi ed altri che l’Italia intiera non avesse da riguardarsi che come un’altra Grecia per così dire. Le colonie degli antichi senza dubbio furono meno numerose delle nostre attuali, vennero per la più gran parte in paesi più popolati, e non |3*| furono premurose al pari delle nostre di tradurre gli abitatori dei paesi forastieri ai proprj costumj ed alla propria religione. Se, non ostante tutto ciò per esempio l’America in ogni sua parte conserva[a] ancora le sue primitive popolazioni colle loro native lingue che deve dirsi dell’antica Italia? I pochi coloni Grechi <Greci> che vi approdarono non poterono estinguere per così dire le nazioni che trovarono, dovettero naturalmente mischiarsi con loro ed accettare una parte anche dei loro costumi e del loro linguaggio. Parto dunque con Lei dal principio, che furono degli Aborigeni in Italia e che gl’Italiani attuali sono vieppiù discendenti di essi che delle colonie Greche arrivate in diversi tempi. Non si può negare come mi pare (ed in questo sono perfettamente del sentimento di Lanzi) che i monumenti che possediamo nel dì d’oggi della lingua Etrusca, Osca cet. si possono molto bene spiegare per il Latino ed il Greco (benchè il modo di chiamare ora una posa parola di questo, or’ una di quell’ idioma in ajuto renda lo spiegare più facile che sicuro) e credo anch’io che la lingua di queste nazioni, per quanto la conosciamo adesso, si avvicina assai più a quelle due vicine che a nessun’ altra ò orientale, od **i o settentrionale. Ma si deve considerare che questa lingua (val a dire la |sic| dei monumenti) è lingua di eruditi, perchè la massima parte appartiene al rito dei sacerdoti, e lingua di secoli posteriori assai alla prima entrata dei Greci in Italia. Vediamo ogni giorno che una stessa nazione usa di due idiomi molto differenti, e certo avrebbe torto |4*| chi, vedendo che tutti i monumenti, tutti i documenti, quasi tutte le scritture che si fanno nella <nelle> Provincie Biscagline, volesse in si fanno in lingua Castigliana, volesse inferirne ch’essa fosse l’idioma usuale del popolo.[b] Credo dunque che si debba supporre come certo, che nell’antica Italia durante il decorso di molti secoli, v’erano due sorte di linguaggi differenti, l’uno primitivo, l’altro greco, mescolato col primitivo e mutato dopo di modo che ne nacque una nuova lingua, la Latina; che, attesa la grande <gran> difficoltà di sottoporre un linguaggio p non finora scritto ad un alfabeto portato di fuori, ogni volta che si doveva scrivere si faceva uso quanto più era possibile di quell’ultimo, e che anche nel parlare il primo si andava insensibilmente a corrompere, a mutare ed alfine a perdere intieramente.

Nell’investigare l’origine degl’Italiani attuali si deve naturalmente attendere quasi unicamente a queste traccie della più rimota antichità, ed Ella le hà certamente seguite ottimamente nei nomi proprj delle nazioni e delle regioni. Resterebbe forse adesso ancora di ricercare l’origine delle moltissime parole nella lingua veramente Toscana, ch che l’etimologia non ritrova nè nella Latina nè nella Greca, & quanto a queste hò creduto sempre che la massima parte ne venisse dalle lingue Settentrionali, principalmente dal Tedesco. L’affinità fra queste lingue e quelle dell’Asia è interessantissima, ma non ebbi ancora il tempo di studiare per |5*| me stesso queste ultime. Poco però mi fido nelle comparazioni che in molti libri (p.e., nelle opere di Hervas) si fanno fra una lingua ed altra. Si fondano per lo più sopra pochissime parole e non, come dovrebbe essere, sopra uno studio profundo |sic| d’ambedue le lingue che si comparano. Per giudicare veramente delle affinità di lingue diverse è necessario di entrare profondamente nella loro struttura e nell’arte col quale |sic| ognuna di esse in se stessa forma e deriva le sue parole l’una dall’altra.

Il lavoro che in questo genere sarebbe più d’ogni altro a desiderarsi, sarebbe un dizionario compito di tutte le parole d’una lingua, vi compresi tutti i dialetti con una breve annotazione di quelle la cui etimologia è manifesta. Coll’ajuto d’una tal opera si vedrebbe con un colpo d’occhio p.e. quel che deve l’Italiano al Latino, Greco, Tedesco, cet. el <e> l’investigatore di lingue si fermerebbe soltanto in quelle voci che pajono per così dire d’origine incerta ed incognita. Tengo in questo momento un tal Catalogo della lingua Romana (nel paese dei Grigioni) nelle mani,[c] e vedo, che giacchè con facilità trovo l’etimologia di moltissime voci, che contiene, nelle lingue vicine, poco sarà il numero di quelle che sono esclusivamente proprie a questo idioma. Qualora un simile lavoro sarà fatto almeno sopra la lingua principale che conosciamo, ma non pria, sarà possibile di fare dell’etimologia una scienza certa e sicura e che non dipenda più dall’ingegno di |6*| chi la tratta, che dalla verità dell’oggetto.

Ma abuso della sua pazienza. Mi permetta dunque di terminare questa lettera con una osservazione sopra la denominazione di lingua Celta della quale sopra tutto gli Scrittori Francesi fecero un gran abuso. Viddi con sommo piacere ch’Ella non hà attribuito il nome dei Celti che à quei popoli soli che lo portano con verità, val a dire [a] [*l] i agli Scozesi ed Irlandesi. Gli autori Francesi confondono sotto questa denominazione la lingua Irlandesa, quella di Wales e della Bassa Bretagna ed ancora la Biscaglina ed indi è che trovano con tanta facilità le etimologie che chiamano Celtiche, andando a ricercarle indifferentemente in tutte ques queste tre lingue. Bullet hà avuto la pazzia di fare di tutte trè un solo Dizionario. È certo però che tutte queste tre lingue sono molto diverse, che non sono dialetti d’una medesima, e che forse non hanno maggior affinità fra di loro che p.e. la Tedesca e la Greca. L’erudito Schlözer, il cui nome non Le sara incognito, nella sua storia del Norte (nella quale c’è un capitolo preziosissimo sopra le lingue originali e primitive dell’Europa) <h>à mostrato il primo questo sproposito ed hà distinto questi trè Idiomi sotto le denominazioni di lingua Vasca (Cantabrica), Galica (la vera Celtica, giacchè viene dai veri Celti ch’abitarono le vicinanze di Marsiglia o di Lyon) e Kymrica[d] (quella della Bassa Bretagna e di Wales). Per quanta io abbia per me stesso studiato |7*| ognuna di queste lingue mi confermo di più in più nella di Lei Opinione.

Mia moglie non hà potuto dirmi abbastanza quanto è stata sensibile alla bontà ed all’amicizia ch’Ella e la Sua Signora Consorte le hanno provate nel breve soggiorno che fece a Firenze. La prego, di voler rassegnare la mia sincera e profonda gratitudine alla Signora Sua Consorte, e domandarle perdono di non aver risposto alla gentilissima Sua lettera. Ma temevo veramente d’arrecarle nuovo incomodo, altrimente non avrei trascurato di ringraziarla io stesso dell’accoglienza che si compiacque di fare a Madame di Sartoris che non cessa mai di parlare delle sue finezze verso di lei.

Scusi, amicissimo Signor mio, la lunghezza di questa lettera e gradisca l’espressione dell’alta stima e della cordiale e sincera amicizia colle quali hò l’onore di protestarmi
Suo
Obbligat.mo Divot.mo Servitore
ed amico,
Humboldt.
Roma,
ai 25. Aprile,
1804.

Fußnoten

    1. a |Editor| Costa 1970, 534: „conosceva“
    2. b |Editor| Humboldt beschreibt hier das, was wir heute als Diglossie bezeichnen. Ist er der erste? [UT]
    3. c |Editor| Siehe das etymologische Verzeichnis des Romanischen nach Matthias Conradi in Humboldts Nachlass im Archiv Schloss Tegel, Archivmappe 75, S. 228–243. [UT]
    4. d |Editor| Exzerpt Humboldts aus William Owen (Pughe) (1803): A Dictionary of the Welsh Language, explained in English: To which is prefixed a Welsh grammar, London: Williams zum kymrischen Lautsystem in AST, Archivmappe 75, Bl. 100–104: Bl. 101r –101v: I. Buchstaben; Bl. 103r–103v: Aussprache der kymrischen Buchstaben nach dem Englischen, Bl. 104r–104v: Fundamental Vocale. [UT]